Quanto dura una psicoterapia?
Tralasciando il caso molto specifico delle cosiddette psicoterapie brevi — quelle che, per tecnica e assetto specifico, pongono al centro la durata limitata (stabilendo un numero preciso di sedute o fissando obiettivi a breve termine) — una psicoterapia, qualunque sia l’orientamento, ha una durata estremamente variabile.
Molti fattori influenzano il tempo necessario: il punto da cui si parte, la meta che si vuole raggiungere, il ritmo con cui la persona procede. Tornando alla metafora del viaggio, chiedere “quanto durerà” è un po’ come chiedere quanto dura un viaggio: dipende da dove si vuole arrivare e da dove si inizia.
Non è, però, un viaggio da cui non si può tornare indietro: in ogni momento il paziente può decidere di interrompere.
Nella mia esperienza, la domanda sulla durata è una delle più frequenti prima di iniziare, ma raramente si ripresenta una volta intrapreso il percorso. Anche quando si parte con obiettivi chiari, questi non restano immutati: si modificano, si arricchiscono o cambiano direzione man mano che il lavoro procede.
Per questo è difficile, anzi impossibile, stabilire a priori una “data di scadenza”. Posso dire, però, che spesso i sintomi più evidenti tendono a ridursi o trasformarsi in tempi relativamente brevi: per alcune persone questo è sufficiente per concludere, per altre rappresenta solo l’inizio di un’esplorazione più profonda.
Il mito della dipendenza dalla terapia
Alcune persone temono di diventare dipendenti dalla psicoterapia, come lo si può diventare da un farmaco o da una droga, peggio ancora da un guru che possa fare una sorta di lavaggio del cervello e annullare l’intenzionalità di una persona.
La “dipendenza dalla terapia” non esiste in senso stretto.
Può accadere, però, che una persona, una volta intrapreso il percorso, faccia fatica a interromperlo: non per costrizione, ma perché ha iniziato a desiderarlo, anche se a volte vorrebbe tornare indietro, è stanca o vive momenti di esitazione.
Mi capita di incontrare persone che si trovano in questa condizione: da un lato sanno di non aver ancora raggiunto la propria meta e sentono il bisogno di proseguire, dall’altro vorrebbero essere già “arrivate” e concludere. In questi momenti può emergere ambivalenza, oppure il timore di perdere la stima e l’affetto del terapeuta decidendo di terminare.
La paura anticipatoria della dipendenza nasce spesso da un conflitto interno tra desiderio e timore dell’intimità, del legame.
In realtà, la relazione analitica, contrariamente a quanto si pensa, è un potente strumento di libertà: permette di sperimentare un legame profondo senza perdersi, di entrare in relazione con sé e con l’Altro senza sentirsi trascinati nella volontà dell’altro. È uno spazio sicuro in cui affrontare questi timori, trasformando i “legacci” in nuove possibilità di relazione.
Allora quando finisce una psicoterapia? Chi lo decide? Come si capisce?
Quando finisce un viaggio?
Quando si arriva.
E quando si arriva dove si voleva arrivare lo si sente e nel caso della psicoterapia lo si sente in due. L’unica vera differenza con un viaggio è che, in un certo senso, in un percorso psicoterapeutico nessuno è totalmente consapevole di quale sia la meta, quella vera. Forse è un po come un viaggio senza meta in cui ci si affida alla propria intuizione che quando si sarà raggiunto il luogo giusto, lo si avvertirà.